Un film che va a fondo, che scava, che riduce all’essenziale la società e le sue problematiche riconducendole ad uno stato di privatissima e ristrettissima visione. Malattia, dolore, morte imminente. Il rapporto tra un padre e una figlia contagiata che fa sentire come gli ultimi uomini sulla terra, in un desiderio di riscatto dal sentimento di impotenza che si vive in queste situazioni.
Fin qui potrebbe sembrare un film “d’autore”, forse contestualizzabile in un certo filone o cliché, ma così non è, sia per la storia in sé che per il suo (co) protagonista.
La trama infatti si muove nel genere dedicato agli zombie, in un presente (futuro mi sembra eccessivo, data la forte contemporaneità delle immagini e dei luoghi) piegato da una pandemia che trasforma le persone in mostri. E il ruolo del padre è affidato ad Arnold Schwarzenegger. Non c’è da storcere il naso leggendo questi due dettagli e vi spiego subito e brevemente il perché.
La sceneggiatura è avvincente e crea immediatamente empatia nello spettatore, che volente e nolente si trova a chiedere cosa farebbe in un caso similare (anche privo dell’escamotage fantastico) e di come potrebbe affrontarlo, arrivando alla conclusione che tutto il rapporto che si sviluppa e che si avviluppa durante il film è quanto di più franco e realistico ci si possa aspettare in un film “post-apocalittico”.
Le immagini sono suggestive, così come l’ambientazione rurale che dona un’atmosfera lontana dai meccanismi cittadini e decisamente più agghiacciante nella sua esistenza violata da Qualcosa che non le appartiene. Dal punto di vista attoriale il nostro Arnie, si mette alla prova in un ruolo in cui il suo fisico e le sue capacità espressive aderiscono perfettamente al personaggio interpretato, con una qualità che mi ha stupito per l’emozionalità trasmessa, la sua indole paterna, il realismo del tormento del non poter fare nulla per sua figlia e al tempo stesso volerla preservare. Vera protagonista è Abigail Breslin, che delicatamente e senza mai calcare troppo la mano, racconta (e lo fa anche a sé stessa) la mutazione, la sua vita che va spegnendosi e il passato con cui fare i conti.
Contagoius. Epidemia mortale (in originale Maggie, come la protagonista) ha dalla sua un carico narrativo molto forte che non ha bisogno di scene orrorifiche o sanguinolente o di colpi di scena, supportata magnificamente da una colonna sonora minimalista; è una metamorfosi dell’animo umano che si interroga sulla fine e che facendolo può solo disintegrare convinzioni, ipotesi per raggiungere uno stato di zero assoluto in cui perdere la propria umanità mantenendone le fattezze. Gusci vuoti pensanti.
ALex
L’Alchimista
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