Il salmo delle tempeste- Siegfried

Bilanciamenti tra Junger, un folk elettrico impregnato di caldo post-punk (arrotondato da una new wave tutta italiana e vecchia maniera), ritmiche e sonorità minimaliste/zen elettroniche, sono il punto focale attorno cui ruota il progetto dei Siegfried e la loro ultima release “Il salmo delle tempeste“.
Anzi, meglio, l’album in sé ha un “suo” concept focale, un suo Geist che infesta ogni brano e ogni parola, ed è quello della voce concessa al vento.
Quello che si respira-è il caso di dirlo-è proprio questo, la voce salmodica che si tuffa nella tempesta dell’omologazione, del vittimismo autoreferenziale, del disastro sociologico e culturale per diventare essa stessa vera forza della natura tesa alla riscoperta della ribellione -celebrando anche inconsciamente Russell- contro i luoghi e i cori comuni, capace di abbattere ogni nuvola di una farsa temporalesca chiamata umanità.

Il salmo delle tempeste è un percorso rigoroso all’interno del sé, che richiede concentrazione e attenzione, perché la tensione muscolare delle liriche scardina l’opportunismo della globalizzazione per far (ri)vedere la luce ai pensieri feroci rannicchiati nel buio della rassegnazione (“Ho il ritmo della marcia/non mi interessa tenere il tuo passo”; “Non vedi quanta bellezza?/è la stessa che hai rinnegato”; “Sono come hai dimenticato di essere”;). Ma in questo giavellotto scagliato verso l’uomo ce n’è, al tempo stesso, uno scagliato verso il cielo, verso la storia, la sua rievocazione e comprensione che tutto regola e registra nel suo incedere avanti voltata verso le sue spalle.

Qui non c’è solo musica ma pergamene di suoni scolpite da lettere intelligenti.

Alex
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